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Tutte le foto dal documentario The Zone per gentile concessione di Alessandro Tesei.
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Gli italiani che hanno passato una settimana nella zona contaminata di Chernobyl

Il risultato è The Zone, un documentario sui giovani che vivono illegalmente nella zona evacuata intorno a Chernobyl, gli stalker.

Nel 2018, il regista Alessandro Tesei e il fotoreporter Pierpaolo Mittica hanno viaggiato illegalmente per oltre 50 chilometri nei boschi radioattivi intorno alla centrale di Chernobyl, con l'obiettivo di seguire per una settimana le vite al limite dei cosiddetti “stalker”. Ovvero giovani ucraini che decidono di occupare abusivamente gli appartamenti abbandonati della zona evacuata e tutti i luoghi che dall'anno del disastro non hanno più visto aggirarsi nemmeno l’ombra di un essere umano. Da quell'esplorazione è nato un documentario dal titolo The Zone [disponibile su Prime Video].

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Ho quindi chiesto ad Alessandro Tesei di raccontarmi di The Zone, del loro viaggio estremo e degli stalker che vogliono riappropriarsi di una città fantasma. Del resto, essendo Tesei urbexer e fondatore della più grande community italiana di urbex, Ascosi Lasciti, se c’è uno che può capire il loro amore per un luogo abbandonato, quello è proprio lui.

VICE: Qual è stata la prima cosa che hai pensato quando hai visto per la prima volta Chernobyl?
Alessandro Tesei: Sono stato più volte a Chernobyl e nelle aree circostanti, sia per lavoro sia per volontariato con l'associazione Mondo in cammino, che si occupa dei bambini abbandonati nei villaggi contaminati a ridosso della zona di evacuazione.

Chernobyl è una cittadina ancora abitata. Con il nome Chernobyl però l'immaginario collettivo identifica la centrale nucleare, che si chiama "Centrale Vladimir Lenin". La prima volta che l'ho vista non ho avuto particolari sensazioni, venivo già da esperienze legate al nucleare molto forti come quelle di Fukushima e Kystym.

Da quando sono state aperte al turismo, la centrale di Chernobyl e la zona circostante hanno perso molto a livello di impatto emotivo agli occhi dei visitatori. Diverso è invece addentrarsi nella Zona [la zona di alienazione, quella più contaminata, nel raggio di 30 km dalla centrale]. I rischi e la possibilità di percorrere strade non battute dal turismo di massa portano con sé un carico di adrenalina non indifferente.

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Raccontaci degli stalker. Chi sono? Perché hanno deciso di vivere illegalmente nella zona contaminata?
Gli stalker sono ragazzi ucraini che vanno dai 20 ai 40 anni circa. La vita in Ucraina non è semplice e spesso i ragazzi si trovano a vivere senza prospettive per il futuro e senza la stessa libertà che abbiamo noi cittadini europei di partire e cercare fortuna altrove.

Ricercano quindi una propria dimensione, un posto dove sentirsi liberi. La Zona assolve questo compito. Nella Zona il fisico è messo alla prova, con camminate pesanti indossando zaini da 40 chili, con scalate su antenne sovietiche arrugginite e palazzoni da tredici piani senza ascensori. Ma è soprattutto con la mente che si va altrove, in un posto in cui le regole del mondo comune sono sovvertite. Nella Zona si entra illegalmente; si vive illegalmente; l'acqua la si trova in giro e va disinfettata prima di essere bevuta. Per il cibo, ci si arrangia con scatolette e tutto quello che si riesce a portare con sé.

Ogni stalker ha le sue motivazioni. Molti lo fanno appunto per mettersi alla prova fisicamente, alcuni hanno bisogno invece di rilassarsi e meditare, altri sono innamorati della storia e ricercano nei villaggi e nella città di Pripyat [la città fantasma abbandonata dopo l'incidente] tracce di vite passate, altri ancora sono semplici esibizionisti…

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La loro scelta è di tipo politico?
Per qualcuno di loro sì. Andare nella Zona e vivere a Pripyat è una dimostrazione di forza e allo stesso tempo di resilienza. Lo stato ha dimenticato le conseguenze del disastro e ha abbandonato migliaia di persone in zone altamente contaminate. Però nel momento in cui ha capito le potenzialità del Dark Tourism si è immediatamente ricordato di Chernobyl, per sfruttarne le rovine.

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Hai mai avuto paura di possibili contaminazioni radioattive mentre eri là?
Il rischio di contaminazione radioattiva esiste perché sono passati pochi anni dal disastro. Avendo io e Pierpaolo molta esperienza circa i luoghi contaminati, abbiamo preso le nostre precauzioni. Il fallout radioattivo [la ricaduta radioattiva del materiale coinvolto in un’esplosione nucleare, lanciato in aria fino al limite della troposfera a dodici chilometri di quota e poi ricaduto sotto forma di cenere e pulviscolo altamente letale] si sviluppa a macchia di leopardo ed è il contatore Geiger ad avvisarti quando stai transitando in un punto pericoloso. In quei casi la scelta è cambiare strada oppure munirsi di mascherina e proseguire. Bisogna poi cercare di evitare il più possibile di ingerire sostanze contaminate, come acqua e cibo.

Com’è la Chernobyl degli ultimi anni?
La zona è un paradiso selvaggio nel quale vivono persino orsi e lupi. La natura si è riappropriata di tutto, a riprova del fatto che il vero agente inquinante è l'uomo. Va però detto che è una natura malata e a tratti mutata. Gli animali, le piante così come l'uomo subiscono l'effetto delle radiazioni—mentre gli animali più piccoli non riescono a vivere dove c'è un'alta concentrazione radioattiva, e infatti in alcune aree della Zona non si trovano piccoli volatili o roditori.

Qual è la cosa più assurda che hai visto o che ti hanno raccontato durante l’esperienza a Chernobyl?
La città di Pripyat è indubbiamente qualcosa di unico. Noi arrivammo alle prime luci dell'alba, stanchissimi dopo una notte infernale durante la quale abbiamo camminato per venticinque chilometri per uscire da un bosco in cui c’eravamo persi, per giunta sotto la pioggia. Eppure passeggiare per le strade della grande città morta con l'alba che iniziava a definire i contorni degli enormi palazzi è stata un'esperienza incredibile.

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Attualamente, che percezione hanno del nucleare a Chernobyl?
La gente si interroga poco sul nucleare e su Chernobyl. L'Ucraina è un paese molto povero e la priorità per le persone è sopravvivere e arrivare alla fine del mese. Molti non ne sanno quasi nulla. Il governo ha sempre minimizzato, ha evitato di parlarne in termini di pericolosità. Ingenuamente si crede che dopo oltre trent’anni il rischio non sia più presente. Purtroppo per noi molti elementi radioattivi pericolosissimi, come il plutonio, durano migliaia di anni.

Il titolo del tuo documentario, The Zone, è un riferimento al film di Andrej Tarkovskij Stalker? Pellicola di fantascienza del 1979, ben sette anni prima rispetto al disastro. E tratta dal romanzo di ben 15 anni prima…
Adoro Tarkovskij e il suo cinema. La sceneggiatura di Stalker è stata scritta assieme ai fratelli Strugackij [autori del romanzo Picnic sul ciglio della strada del 1971 da cui il film di Tarkovskij è tratto] che già nel loro libro hanno anticipato quello che è successo. Una sorta di profezia che ha dell'incredibile. Non si parla di un incidente nucleare ma della creazione di una Zona in cui le regole del mondo sono sovvertite e in cui la natura è matrigna e pericolosa. Abbiamo attinto molto dall'immaginario di Stalker e di Picnic sul ciglio della strada nella creazione della sotto-trama che accompagna il nostro viaggio con gli stalker.

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Alla Cisterna romana di Jesi avete girato delle scene del documentario fictionate, una sotto-trama che racconta le “incursioni” degli stalker nella città fantasma di Pripyat. Non siete riusciti a documentarle dal vero direttamente là a Chernobyl?
La parte di fiction non descrive la vita degli stalker. Descrive il loro folklore. Un folklore fortemente influenzato dal film, dal libro, ma soprattutto dal videogioco STALKER, che ha fatto conoscere la Zona a una moltitudine di giovani ucraini. Da qui nasce la figura del "Black Stalker", una sorta di divinità protettrice che li guida e che li protegge dai pericoli e dalle incursioni della polizia.

Abbiamo quindi deciso di raccontare la storia di questo personaggio, attingendo anche noi da film, libro e dai racconti su Chernobyl della giornalista bielorussa premio nobel Svjatlana Aleksievic.

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Si è sentito molto parlare del disastro di Chernobyl, nel periodo in cui è uscita la serie prodotta da Sky e HBO. C’è qualcosa che non ti torna della serie, tu che sei stato per un lungo periodo là?
Incredibile che ci sia voluta una serie americana per ritirare fuori Chernobyl! Devo ammettere che è un capolavoro, anche se due cose non mi sono piaciute: la prima sono gli attori che parlano inglese, perché tolgono poesia e credibilità a tutta la serie e creano cacofonia con i nomi dei personaggi che sono invece russi.

La seconda riguarda il personaggio di Ulana Khomyuk, inventato e dedicato a tutti gli scienziati sovietici che hanno cercato di fare luce sulla verità. Il problema è che un personaggio simile è davvero esistito: si chiamava Vasili Nesterenko ed è morto da alcuni anni. Fu uno dei pochi, assieme al collega Yuri Bandazevskyi, a lottare affinché la verità potesse venire a galla dalla cortina di omertà sovietica.