Identità

Il problema dell'omofobia nel mondo del calcio, secondo uno dei pochi ex giocatori apertamente gay

Ouissem Belgacem ha fatto coming out dopo la fine della sua carriera. Abbiamo parlato con lui di mascolinità tossica nel calcio e nella nostra società.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
Belgacem
Ouissem Belgacem. Foto: Pascal Eito.

Ouissem Belgacem, 33 anni, è un ex calciatore, ora imprenditore e scrittore. Per molti versi la sua storia è molto comune: un ragazzo talentuoso si fa strada nelle giovanili di un club, ma decide di mollare prima di arrivare ai vertici.

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Tuttavia, c’è una differenza tra l’ex difensore e le migliaia di altri giocatori che hanno rinunciato al calcio da giovanissimi: Ouissem Belgacem è gay e il suo coming out lo ha reso una figura solitaria nel calcio contemporaneo.

Assurdamente, l’omosessualità pare non esistere in quello che è lo sport più popolare al mondo, e al di là delle bandiere arcobaleno sfoggiate durante gli ultimi Europei, la prospettiva di un ambiente in cui una persona si senta a proprio agio nel fare coming out è ancora lontana.

In tutta la storia calcistica, solo una manciata di altri giocatori—inclusi lo statunitense Robbie Rogers e il tedesco Thomas Hitzlsperger che ha giocato nella Lazio—hanno fatto coming out, ma solo dopo essersi ritirati.

Il primo giocatore di calcio di fama mondiale ad aver fatto coming out durante la propria carriera è stato l’attaccante inglese Justin Fashanu. Il 22 ottobre del 1990, Fashanu è comparso sulla prima pagina del tabloid inglese The Sun con il titolo ‘£1m soccer star: I am GAY.’ Nell’intervista rivelava di aver avuto una relazione con un politico, peraltro già sposato. Fashanu è stato poi ostracizzato dalla comunità calcistica e si è tolto la vita otto anni più tardi in un garage di Londra—il giocatore era anche stato accusato di aver molestato un ragazzo di 17 anni negli USA.

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A ottobre 2021 ha fatto coming out anche Josh Cavallo. Il centrocampista australiano è attualmente l’unico giocatore in attività di una serie maggiore a essersi apertamente dichiarato. Ha ricevuto subito messaggi di sostegno da personalità come l’attaccante dell’Atlético Madrid Antoine Griezmann e il difensore del Barcellona Gerard Piqué, e anche se non gioca in una squadra di grande fama mondiale è diventato di fatto un riferimento.

Tornando a Belgacem, anche se ammette in tutta sincerità che “non sarei mai diventato il prossimo Zinedine Zidane,” è fermamente convinto che il suo orientamento sessuale gli abbia impedito di raggiungere il pieno potenziale professionale. L’omofobia—di cui dice di aver fatto esperienza sia in Francia che negli USA con i Colorado Rapids—ha fermato la sua carriera prima ancora di cominciare, a 20 anni.

Oggi, benché in modo diverso, lavora ancora in questo ambito. Nel 2015, dopo essersi trasferito a Londra, ha fondato OnTrack Sport, un’azienda che mira a fornire a giocatori ed ex-giocatori le abilità necessarie per intraprendere nuove carriere dopo aver smesso col professionismo. I suoi clienti includono persone quali Danny Rose e Moussa Sissoko.

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Belgacem ha anche da poco pubblicato un libro intitolato Adieu ma Honte, ovvero “Addio, vergogna,” dove racconta il suo percorso di crescita in Francia, nel calcio e in una famiglia musulmana di origine tunisina, nonché i suoi tentativi di conciliare la sua identità e l’orientamento sessuale, le tradizioni famigliari e il gioco che tanto ama.

VICE: Qual è stata la ragione principale che ti ha portato a condividere la tua storia e pubblicare il libro?
Ouissem Belgacem: Mi sono ritirato a 20 anni, a causa dell’omofobia presente nell’ambiente calcistico e della mia incapacità di accettare la mia stessa identità. Purtroppo, quell’atmosfera piena di odio è ancora lì, come 15 anni fa. In altri settori della società stanno cambiando molte cose, ma questi cambiamenti non sembrano toccare lo sport.

Se non affrontiamo il problema rimarrà tutto nell’ombra, e noi continueremo a sentirci rifiutati e scartati. Ci sono giocatrici di calcio apertamente lesbiche e qualche ex giocatore che ha fatto coming out dopo essersi ritirato, ma ad oggi nessun giocatore tuttora in attività [l’intervista è avvenuta prima del coming out di Josh Cavallo] si è pubblicamente dichiarato gay. Avendo tutto ciò ben in mente, ho voluto scrivere qualcosa che potesse dare un barlume di speranza.

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Perché credi che l’ambiente sportivo sia ancora così retrogrado rispetto ad altri ambiti?
Il calcio, in particolare, sembra inchiodato in una specie di distorsione temporale causata soprattutto dalle enormi dosi di mascolinità tossica in circolo. Sembra esserci questo pregiudizio, sia tra i fan che i tra i giocatori, per cui un uomo gay debba essere debole ed effeminato. [Per quanto riguarda le donne], molte persone non riescono ad associare l’idea del femminile con la forza. E in effetti misoginia e omofobia sono strettamente legate nello sport. Più virilità metti in mostra, più sarai accettato. Tutte idee che a me paiono decisamente grette e primitive. Non dovrebbe esserci spazio per questi pregiudizi, oggi come oggi.

Nel libro parli di Justin Fashanu. Come ti rapporti a lui e alla sua storia?
Ritengo sia importante quello che sto facendo, ma non è minimamente paragonabile a quanto fatto dai miei predecessori. Il mio libro ha ricevuto una buona copertura mediatica e recensioni positive sulla stampa, ma non ho avuto alcun tipo di supporto da parte della comunità calcistica. Justin Fashanu se l’è dovuta vedere totalmente da solo, non aveva il supporto di nessuno, nemmeno della propria famiglia.

Hai tenuto workshop e incontri con giovani calciatori. Come cerchi di comunicare con persone che ti sono ostili, almeno sulla carta?
Quando hai a che fare con gli omofobi devi far loro capire che non sei poi una persona così diversa da loro. Mi piacciono la boxe e il calcio, proprio come te. Sono religioso come te. Parte del problema deriva dalla rappresentazione limitata e a senso unico che i media hanno per molti anni dato della comunità. L’omosessualità è composta da uno spettro molto più ampio di quanto si creda. L’alienazione che ne deriva è causata da una mancanza di comprensione e, secondo me, il primo passo verso l’accettazione di sé e delle altre persone viene dalla condivisione delle esperienze e dal dialogo effettivo.

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Nel libro parli anche della tua storia famigliare. Che impatto ha avuto sulla percezione di te stesso?
Sono nato in Francia, ma sono di origine tunisina. Ho sempre sostenuto che l’Africa sia una parte importantissima di me, e al contempo credo anche nei principi della Repubblica di Francia. Il punto è che in Francia vengo visto e trattato solo come un arabo e un musulmano. In Tunisia, invece, divento francese.

Essere un musulmano gay può rivelarsi molto complesso. La gente ti dice che queste identità non possono coesistere, ma chi sono loro per deciderlo? Alla fin fine solo Dio può giudicarmi e le altre persone non dovrebbero interferire con chi amo o con le cose in cui credo. Sono pienamente consapevole delle ingiustizie a cui noi gay andiamo incontro, sia da parte araba che come migranti all’interno della società francese. È difficile e sfiancante, ma la scrittura mi ha dato un modo per affrontare e gestire tutte queste categorizzazioni.

L’articolo 230 del codice penale tunisino criminalizza i rapporti sessuali tra uomini e lì può far condannare a tre anni di galera. Gli omosessuali arrestati sono soggetti a umilianti esami anali per “provare” la validità delle accuse, un procedimento che è una chiara violazione. È interessante notare che la perseguibilità penale dell’omosessualità in Tunisia derivi da un testo abbozzato dai legislatori francesi nel 1913, durante il processo di colonizzazione del Paese.

Queste leggi sono state abolite dopo l’indipendenza tunisina del 1956 ma la loro eredità ha modellato il modo in cui la società pensa e agisce rispetto alle identità. Ritengo sia importante e doveroso tornare alle radici della legge e ripensare il modo in cui il colonialismo ha definito come vediamo la diversità e le differenze all’interno del mondo arabo.