Salute

Abbiamo parlato con l’autore dello studio su cannabis e COVID-19

Il dottor Richard van Breemen spiega perché alcuni estratti della canapa potrebbero rivelarsi importanti contro il SARS-COV-2.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
cannabis
Sinistra: Oregon State University. Destra: Bill Clark / Contributor via Getty Images.

Un nuovo studio ha individuato una sostanza naturale che potrebbe rivelarsi promettente per prevenire le infezioni da COVID-19: la cannabis.

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La ricerca, prodotta da due università dell’Oregon, soggetta a peer-review e pubblicata su Journal of Natural Products, ha identificato tre molecole della cannabis—in particolare, tre precursori non psicoattivi—molto efficaci per bloccare l’entrata del SARS-COV-2 all’interno delle cellule umane, grazie al modo in cui aderiscono alle proteine spike del virus.

Tuttavia, a causa delle leggi lacunose e frammentarie, nonché dell’opposizione delle varie agenzie statunitensi, il futuro di questa strada rimane per ora incerto. Al tempo stesso, la confusione sul tema non manca.

Il dottor Richard van Breemen—autore dello studio, e professore di chimica farmaceutica presso il Linus Pauling Institute dell’Università Statale dell’Oregon—ha parlato con noi della sua scoperta, della risposta da parte del pubblico e delle sfide legali da affrontare.

VICE: Il suo paper sta facendo il giro del mondo. Quali sono le scoperte chiave?
Dott. Richard van Breemen:
Il nostro interesse principale è sempre stato quello di individuare prodotti naturali dal valore terapeutico. Con la COVID, abbiamo pensato di cercare qualcosa in grado di impedire al virus di infettare le cellule, o di inibire la sua capacità di replicazione, in maniera da impedirne la diffusione. Abbiamo deciso di attaccare il virus al momento stesso in cui penetra nella cellula. Che è anche il punto in cui gli anticorpi attaccano il virus.

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Ci siamo chiesti: “È possibile che delle piccole molecole naturali, derivate per esempio dalle piante, abbiano l’abilità di fermare la capacità infettiva del virus agganciandosi alla sua superficie, nello specifico alla proteina spike, cioè la parte che entra in contatto con la cellula umana e permette l’infezione?”

All’inizio, quando abbiamo proposto lo studio alla NIH (gli Istituti Nazionali di Sanità degli USA), ci è stato risposto che nessuno aveva mai dimostrato potesse funzionare. Motivo per il quale non ci sono stati dati i fondi necessari per procedere. Ma noi siamo andati avanti comunque e abbiamo stabilito che questo tipo di molecole, che in questo caso sono quelle della canapa, hanno l’abilità di fermare l’infezione.

Abbiamo esaminato l’actaea racemosa, il trifoglio rosso e la liquirizia, poi abbiamo aggiunto la canapa e scoperto in quest’ultimo caso tre molecole dotate dell’abilità di legarsi alla proteina spike. Abbiamo anche determinato che possono lavorare e legarsi in sinergia, e che se usate insieme hanno un effetto maggiore rispetto all’utilizzo della singola sostanza. Questo fatto ci conferma che un’integrazione, o un complemento che contiene i vari estratti della pianta, in qualche caso può rivelarsi più efficace rispetto alla monoterapia medica tradizionale, che tende a distillare e utilizzare una sola sostanza alla volta.

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Nello studio ho notato che non avete avuto modo di testare il THCA come avreste voluto. Trattandosi di una sostanza illegale, avete avuto difficoltà a reperirne abbastanza?
Esattamente. Abbiamo esaminato alcuni estratti della canapa all’interno dei quali ci sono tracce di THCA, e dunque l’abbiamo identificato e individuato—anche se non ne avevamo il permesso a causa delle regole del campus. Non abbiamo neanche il permesso di purificarlo o fare dei test, perché può essere poi convertito in THC. Se lo si riscalda, il gruppo acido può essere rimosso e si trasforma in una sostanza psicoattiva. Da solo, tuttavia, il THCA non è psicoattivo.

Lo stesso discorso è valido per il CBDA e il CBGA, giusto? Non sono psicoattivi. Dunque la situazione è più complicata, non si tratta semplicemente di fumare un po’ di marijuana per fermare l’infezione. Se dobbiamo ingerire qualcosa per via orale, di cosa si tratta?
Immagino possa avere la forma di un integratore alimentare, come ad esempio una pillola, dell’olio o una “caramellina” gommosa. Idealmente, sarebbe raccomandabile l’utilizzo di un simile complemento quando si ha il timore di ammalarsi—ad esempio, se abbiamo incontrato delle persone che poi sono risultate positive alla COVID—, visto che potrebbe avere la capacità di prevenire l’infezione.

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Ma non ne consiglio l’utilizzo come cura per chiunque sia gravemente ammalato o sia stato ricoverato. Credo che per arrivare a quest’ultimo punto sia necessario combinare terapie differenti per fermare il virus a diversi stadi del suo ciclo vitale. Invece, lo ribadisco: può funzionare come efficace misura di prevenzione, nonostante sia debolmente attiva. Penso possa aiutare a mantenere le persone in salute.

Lo studio sta facendo molto parlare di sé e potrebbe contribuire a diffondere nella percezione pubblica l’idea che fumare marijuana sia parte della soluzione.
I principi attivi che abbiamo individuato sono l’acido cannabidiolico, CBDA, CBGA, e THCA. La “A” sta per il gruppo acido, l’acido carbossilico che può essere rimosso dopo essere stato trattato. Dunque, se questi prodotti vengono fumati, l’esposizione al calore può causare una decomposizione chimica o convertire il CBDA in CBD, il CBGA in CBG e il THCA in THC. Tutti componenti che non risultano essere attivi o efficaci contro il virus. In sostanza, si raccomanda la somministrazione orale di questi composti, invece di fumarli o inalarli tramite svapata.

Giusto per essere chiari: fumare queste sostanze non ha lo stesso effetto sul rischio d’infezione da COVID-19 rispetto all’ingestione orale?
Di sicuro ci aspettiamo che abbiano un effetto ridotto. Ma non abbiamo eseguito gli esperimenti necessari per scoprire quanto è rapida la conversione e quali sono le temperature necessarie affinché avvenga. Sappiamo però che l’acido cannabidiolico è molto suscettibile al calore.

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Un altro studio dell’Università di Waterloo, in Ontario, nel Canada, afferma che l’ingestione di CBD, e non di CBDA, può “ottimizzare” o “preparare” il sistema immunitario per proteggersi dalla COVID-19. Cosa ne pensa?
Non ho ancora avuto modo di leggerlo. Ma diversi studi suggeriscono che alcuni tra gli altri cannabinoidi, proprio come il CBD, hanno un effetto antinfiammatorio. E ovviamente qualsiasi paziente COVID abbia quanto viene chiamata una “tempesta di citochine,” ovvero una risposta immunitaria che causa infiammazioni, può beneficiare di un trattamento che riduce l’infiammazione. In questo caso, penso proprio che il CBD potrebbe rivelarsi utile.

Lei ha parlato dell’opposizione del NIH riguardo ai finanziamenti. Qual è il quadro legale delle terapie, delle ricerche e della farmacologia relative alla cannabis?
Negli USA ci sono sempre problemi legali quando il governo federale stabilisce una norma e i singoli stati ne creano delle altre. Ogni anno viene cambiato il modo in cui si può usare la canapa o possederne dei componenti per l’uso personale oppure la ricerca. In questo momento, il Dipartimento dell’agricoltura permette la coltivazione della canapa. Abbiamo un centro di ricerca dedicato nell’università statale dell’Oregon, focalizzato sullo sviluppo di prodotti di ogni tipo, dalle fibre per l’edilizia o l’agricoltura, alle granaglie per il bestiame, passando per gli aspetti medico-terapeutici e via dicendo. Il mio gruppo lavora proprio sulla questione medica. Ad esempio, il CBD, o cannabidiolo, è stato approvato per il trattamento dell’epilessia giovanile. In fondo, si tratta di una pianta complessa e penso che scopriremo altre sostanze e molecole utili sviluppate dalla canapa. Forse ne abbiamo appena trovata una.

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Ritiene che la legalizzazione federale potrebbe rappresentare un cambio di paradigma?
Assolutamente sì. La canapa è una pianta insolita, nel senso che ha diverse classi di componenti uniche nel loro genere, che non si trovano altrove in natura, ed è ricca di elementi dotati di biodisponibilità. Quando lavoriamo in laboratorio, capita spesso di fare ricerche su una pianta e scoprire che i suoi componenti sembrano essere efficaci e benefici per la salute. Ma quando poi facciamo i test sulle persone ci accorgiamo che, se vengono somministrati in pillole, non riescono a raggiungere il flusso sanguigno. La canapa è diversa e sappiamo che molti dei suoi componenti risultano attivi anche se assunti per via orale, per inalazione e per via transdermica. Dunque, la canapa è insolitamente ricca di componenti con attività biologica nota, ed è in grado di raggiungere il flusso sanguigno conservando i propri effetti. In più, si tratta di molecole sono molto sicure!

Guardando al prossimo futuro, come spera vengano utilizzate le sue scoperte?
In risposta a uno dei colloqui per i finanziamenti, abbiamo affermato che le molecole piccole possono prevenire l’infezione virale. E ritengo sia di per sé una scoperta scientifica importante. Nella canapa abbiamo anche trovato dei componenti che hanno la capacità di impedire alle cellule di essere infettate—almeno all’interno delle colture cellulari con virus vivo. Mi piacerebbe molto procedere con uno studio successivo in cui iniziamo a sviluppare e ipotizzare i dosaggi orali: quante dosi al giorno saranno necessarie, e a che livello, per prevenire l’infezione virale o la sua trasmissione? Ritengo che potrebbe rivelarsi un prodotto sicuro da utilizzare, prima o poi. E mi immagino già l’utilizzo degli estratti di canapa per aiutare le persone a restare in salute e a non ammalarsi di COVID.

Ha avuto occasione di leggere le risposte al suo lavoro che girano in internet, oppure i meme
Sto facendo del mio meglio per rispondere a tutti i messaggi che mi arrivano. Non ho davvero avuto occasione per controllare internet, però. Ma sono felicissimo di sapere che il nostro lavoro sta ottenendo attenzione. Sono felice che le persone lo ritengano importante. Dal canto nostro, ovviamente, speravamo che le cose andassero così. Siamo grati a tutte le persone che apprezzano il nostro lavoro. 

La ringrazio per il tempo che mi ha dedicato. C’è altro che vorrebbe aggiungere?
Spero solo che la prossima richiesta di finanziamenti che faremo ai National Institutes of Health venga accettata.

L’intervista è stata editata per questioni di chiarezza e sintesi.