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Perché dobbiamo smetterla di bere acqua confezionata (non solo per via della plastica)

L’acqua del rubinetto è più buona e costa meno, eppure continuiamo a consumare 8 miliardi di bottiglie di plastica all’anno.
Diletta Sereni
Milan, IT

In Italia usiamo tra i 7,2 e gli 8,4 miliardi di bottiglie di plastica all’anno; l’80% dell’acqua imbottigliata viene trasportata su gomma. Più del 90% delle plastiche prodotte sono “vergini” cioè prodotte da materie prime fossili. Persino il PET (che resta ad oggi la migliore alternativa) viene riciclato solo in parte.

A un certo punto quest’estate mi sono trovata a pulire dei totani appena pescati, su una barca al largo della costa abruzzese. Pulire in alcuni casi comportava estrarre frammenti di plastica conficcati nei loro corpi in modi sempre nuovi. Tra le tante immagini della catastrofe ambientale che abbiamo imbastito con cura negli ultimi 50 anni è questa a cui penso mentre ascolto e leggo le dichiarazioni di vari industriali delle acque minerali, che decantano quanto il loro settore sia virtuoso dal punto di vista ambientale, un esempio di economia circolare; e che una tassa sugli imballaggi di plastica sarebbe dannosa per l’economia italiana e per i consumatori.

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L’attuale manovra finanziaria per il 2020 prevede infatti un’imposta sugli imballaggi di plastica (1 euro per 1 chilo di materiale) e va nella direzione della recente direttiva europea che vieta o impone di ridurre drasticamente l’uso dei prodotti in plastica monouso. Sono i primi tentativi di affrontare il nostro grosso problema con la plastica, che, è vero, va molto al di là di quello con le acque minerali. Ed è anche vero che non posso aspettarmi che l’industria delle acque minerali smetta di fare demagogia in base ai propri interessi. Che smetta di descrivere come “virtuoso” un comparto basato in gran parte sull’estrazione del petrolio, e che smetta di descrivere come una “tutela del consumatore” la tutela fiscale delle bottiglie di plastica.

La “plastic tax” è necessaria ma deve essere diversificata in base al tipo di plastica: quella irriciclabile e monouso merita una tassazione diversa da quella riciclata

Mi aiuto a diventare più moderata ascoltando Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente, che sottolinea che la “plastic tax” sia necessaria ma – a differenza di come è pensata adesso – debba essere diversificata in base al tipo di plastica: quella irriciclabile e monouso merita una tassazione diversa da quella riciclata. Nel frattempo, i numeri dell’ultimo dossier sulle acque in bottiglia di Legambiente-Altreconomia ci dicono che in Italia usiamo tra i 7,2 e gli 8,4 miliardi di bottiglie di plastica all’anno; l’80% dell’acqua imbottigliata viene trasportata su gomma. Più del 90% delle plastiche prodotte sono “vergini” cioè prodotte da materie prime fossili. Persino il tanto glorificato PET (che resta ad oggi la migliore alternativa) viene riciclato solo in parte.

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Al di là dei dati, mi sembra che sull’acqua minerale in bottiglia ci sia un fraintendimento speciale, che non riguarda altri prodotti usa e getta. Il pensarla cioè come un bene necessario quando invece si tratta di un prodotto superfluo, come un succo di frutta, come un vino.

Alla base dell’industria dell’acqua minerale ci sono i canoni di concessione che le aziende pagano alle Regioni per poter imbottigliare l'acqua di una determinata sorgente. Questi canoni raggiungono al massimo i 2 euro per metro cubo d'acqua, cioè appena 0,002 euro al litro

Parlo di questo con Luca Martinelli, giornalista e autore di “Imbrocchiamola!” e “L’acqua (non) è una merce”, che mi spiega come la fortuna dell’acqua minerale si regga su due paradossi. “Primo paradosso: alla base dell’industria dell’acqua minerale ci sono i canoni di concessione che le aziende pagano alle Regioni per poter imbottigliare l'acqua di una determinata sorgente. Questi canoni raggiungono al massimo i 2 euro per metro cubo d'acqua, cioè appena 0,002 euro al litro: una cifra irrisoria se paragonata al prezzo di mercato di qualsiasi bottiglia d’acqua. E irrisoria se paragonata a quanto incide il costo delle materie prime negli altri settori, prendi ad esempio quello agroalimentare. Quando paghiamo una bottiglia d’acqua stiamo pagando altre cose: la plastica dell'imballaggio, la logistica che muove anche per mille chilometri le bottiglie, la pubblicità che è servita a costruire il mito dell’acqua minerale; tutte cose che alimentano un business che sta tutto nell’alveo del superfluo.”

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L’Italia è seconda nella classifica mondiale di chi consuma più acqua in bottiglia (circa 208 litri a persona all’anno), quando nel nostro paese la quasi totalità delle persone - almeno il 95% - ha accesso all’acqua potabile.

“Secondo paradosso: l’Italia è seconda nella classifica mondiale di chi consuma più acqua in bottiglia (circa 208 litri a persona all’anno), quando nel nostro paese la quasi totalità delle persone - almeno il 95% - ha accesso all’acqua potabile della rete acquedottistica, cioè un’acqua di ottima qualità che tra l'altro arriva a casa ad un costo molto inferiore rispetto a quello delle acque minerali (e attenzione: il costo non si paga per l’acqua in sé, ma per il servizio d'acquedotto che ci porta l'acqua in casa, e per le fognature e gli impianti di depurazione, si chiama servizio idrico integrato). Ci sono molte situazioni, tra cui Milano e Roma, dove l’acqua del rubinetto è di altissima qualità. All’inverso ci sono alcune acque minerali i cui parametri non le renderebbero idonee per essere distribuite nelle reti acquedottistiche come acque potabili.”

acqua in brocca

Acqua in brocca da Tipografia Alimentare a Milano. Foto dell'autrice

Il successo delle acque minerali è stato aiutato anche da un cambio delle nostre abitudini: mangiamo molto di più fuori casa. Per questo è cruciale che i ristoranti, i bar, siano i primi ad attrezzarsi per demolire questo grande abbaglio. Ed è vero, negli ultimi anni molti ristoranti sono passati al vetro o all’acqua in brocca, ma sono ancora una minima parte.

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Un esempio con cui mi torturo spesso, perché è una realtà che conosco bene e a cui voglio bene: i locali di vini naturali. In questi contesti, tutto l’impegno ecologico che accompagna il vino si contraddice e si sgonfia di fronte a un’acqua in plastica usa e getta servita con nonchalance. Penso a tutte le volte che l’ho accettata roteando gli occhi e mi riprometto, qui davanti a tutti, che d’ora in poi la rimanderò indietro come fanno quelli bravi quando il vino è difettato.

Ci sono però anche dei casi incoraggianti. Per restare nel mondo del vino naturale, di recente sono stata a una fiera, Torino Beve Bene, che si è rivolta alla consulenza di Abbasso Impatto per ridurre al minimo i rifiuti, e in generale l’impronta ambientale dell’evento. Quindi, ad esempio, al posto di vendere bottigliette di plastica c’era una fontanella, allacciata al carico del padiglione, a cui andare ad abbeverarsi liberamente. Il risultato, mi dice Giada Talpo, una delle organizzatrici è che in due giorni di fiera, con circa 2500 partecipanti, hanno prodotto appena 18,2 chili di plastica (bottigliette e involucri portati in fiera dal pubblico).

Ci sentivamo obbligati a tenere al ristorante le bottigliette di plastica, poi non ce l’ho fatta più, perché contraddiceva un nostro principio, cioè il dovere di educare i clienti a un consumo sostenibile.

Le cose sbagliate che fai credendo di salvare l’ambiente

Quanto alla ristorazione: a occhio, più il ristorante sale di livello, più la plastica viene sostituita dal vetro, ma ad esempio non ricordo di aver mai visto una brocca di acqua sfusa in un ristorante stellato. Questo perché, al di là degli accordi di collaborazione che spesso esistono tra stellati e grandi aziende delle acque minerali, ho la sensazione che l’acqua in brocca venga (erroneamente) associata a un servizio peggiore.

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Un ristorante che ha superato questo scoglio psicologico da tempo è il milanese Ratanà. Il cuoco e proprietario Cesare Battisti mi dice che sono ormai 9 anni che sui loro tavoli si beve acqua in brocca, grazie a un sofisticato impianto di filtrazione (tecnicamente si chiama "addolcitore") che migliora la già buona acqua milanese. “Abbiamo anche le bottiglie in vetro di acqua minerale, solo per chi la chiede perché non vuole bere quella sfusa. Però succede sempre meno e riusciamo a consumare appena 20-30 bottiglie al mese. Se servissimo solo acqua minerale ne consumeremmo circa 120 al giorno.” Inoltre, siccome il Ratanà si trova dentro a un parco pubblico, durante il giorno è tappa di un costante pellegrinaggio di mamme in cerca della bottiglietta d’acqua usa e getta. “Ci sentivamo obbligati a tenerle, poi non ce l’ho fatta più, perché contraddiceva un nostro principio, cioè il dovere di educare i clienti a un consumo sostenibile. Entro fine anno avremo invece delle borracce in acciaio riutilizzabili, che venderemo alle suddette mamme con promessa di riempirle gratuitamente tutte le volte che lo chiederanno”.

Consumare acqua minerale in plastica deve diventare un’eccezione, un caso estremo quando hai molta sete e nessuna alternativa

E a proposito di borraccia. Comprarsi una borraccia è una delle cose più sostenibili che possiamo fare. Non a caso è una delle azioni promosse dalla campagna #stopacquainbottiglia, lanciata dal Water Grabbing Osservatory, che ci ricorda anche quanto le nostre abitudini quotidiane siano legate ai grandi temi economici e politici, come l’accaparramento delle risorse idriche.

borraccia_diletta

L'autrice con la sua fida borraccia

Chiudo questa breve collezione con un pensiero da ragazza idealista. Su questo tema della plastica c’è in ballo qualcosa di molto prezioso, più dell’ambiente, dei soldi: c’è in ballo il bisogno profondamente umano di avere ogni tanto delle certezze e questa è una delle rarissime volte in cui possiamo permettercelo. Bere acqua minerale può essere piacevole e appassionante ma è qualcosa che dobbiamo riuscire a “elevare” a un consumo occasionale, o almeno a tutte quelle volte che vogliamo assaggiare un’acqua particolare, in modo più simile a come degustiamo un buon succo di frutta o un buon vino. Al di là di questo, bere acqua minerale in plastica deve diventare un’eccezione, un caso estremo quando hai molta sete e nessuna alternativa. Cominciare da questa certezza è, credo, non una rivoluzione (a chiamarla così finisce che la facciamo in tre) ma un inizio facile, di buon senso, per persone normali, ben informate.

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